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Quanto fa male la sedentarietà?

Ammettere senza margine di equivoco che la propria inattività possa nuocere, come farebbe qualsiasi altro fattore di rischio (fumo, abuso alcolico, ipernutrizione e sovrappeso ecc.) non è facile.

Psicologicamente, risulta molto più "confortevole" convincersi che: "sì, allenarsi fa bene, ma non facendolo rimango semplicemente ad un livello normale". Purtroppo non è così.
La sedentarietà non è né naturale, né normale per l'essere umano, ed è responsabile di una vera e propria riduzione dello stato di salute, in quanto costituisce un fattore di rischio modificabile.

Sia gli uomini che le donne con aumentato livello di allenamento sportivo e fitness hanno riscontrato una riduzione del rischio relativo di morte di circa il 20-35%.

Ad esempio, in uno studio che ha coinvolto uomini e donne di mezza età sani, seguiti per 8 anni, i livelli più bassi di prestazione fisica, misurati su un tapis roulant, si associavano a un aumento del rischio di morte per qualsiasi causa rispetto ai più alti.

Indagini più recenti hanno mostrato riduzioni ancora maggiori del rischio di morte per qualsiasi causa e per malattie cardiovascolari. Ad esempio, un buon stato di forma e attività era associato a una riduzione del rischio >50 %.

Inoltre, un aumento del dispendio energetico derivante dall'attività fisica di 1000 kcal (4200 kJ) a settimana o un aumento della forma fisica di 1 MET (metabolismo equivalente) era associato a un beneficio in termini di mortalità di circa il 20%.

Un aumento della forma fisica riduce il rischio di morte prematura e una diminuzione della stessa lo aumenta.
L'effetto sembra essere graduale, in modo tale che anche piccoli miglioramenti nella forma fisica si associno a una significativa riduzione del rischio.
In persone precedentemente sedentarie, modesti miglioramenti della forma fisica sono stati associati a grandi miglioramenti dello stato di salute. Ad esempio, i soggetti che sono passati da sedentari ad attivi per un periodo di 5 anni hanno mostrato una riduzione del 44% del rischio relativo di morte rispetto a quelli che sono rimasti inattivi.

In sintesi, gli studi osservazionali forniscono prove convincenti che un'attività fisica regolare e un alto livello di forma fisica si associno a un ridotto rischio di morte prematura per qualsiasi causa e da malattie cardiovascolari, in particolare tra uomini e donne asintomatici.

 

Prevenzione secondaria sulla mortalità precoce

I benefici dell'attività e della forma fisica si estendono anche ai pazienti con malattie cardiovascolari accertate.

Questo aspetto è molto importante perché, da parecchio tempo, ai pazienti con malattie cardiache venivano raccomandati totale riposo e inattività.

A differenza degli approfondimenti sulla prevenzione primaria, molti studi sulla prevenzione secondaria sono di tipo clinico controllato e randomizzato.

Diverse revisioni sistematiche hanno chiaramente dimostrato l'importanza di un esercizio fisico regolare per attenuare o invertire il processo patologico nei pazienti con malattie cardiovascolari. Ad esempio, una revisione sistematica e una meta-analisi di 48 studi clinici ha rivelato che, rispetto alle cure usuali, la riabilitazione cardiaca è capace di ridurre significativamente l'incidenza di morte prematura per qualsiasi causa e in particolare per malattie cardiovascolari.

Anche l'allenamento a bassa intensità [ad es., meno del 45% della potenza aerobica massima (VO2max)] è stato associato anche ad un miglioramento dello stato di salute tra i pazienti con malattie cardiovascolari.

Tuttavia, l'intensità di allenamento raccomandata per i pazienti con malattie cardiache è generalmente il 45% della frequenza cardiaca di riserva – ovvero, la differenza tra la frequenza cardiaca massima (FCmax) e la frequenza cardiaca a riposo.

In sintesi, un'attività fisica regolare è chiaramente efficace nella prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari ed è efficace nell'attenuare il rischio di morte prematura tra uomini e donne.

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